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"Essendo molto anzi in infinito inalzate e lodate alcune cose che fece Sebastiano per le lodi che a quelle dava Michelangelo, oltre che erano per sé belle e lodevoli, un Messer non so chi da Viterbo, molto riputato appresso al Papa, fece fare a Sebastiano per una cappella che aveva fatta fare in S. Francesco di Viterbo, un Cristo Morto con una nostra Donna che lo piagne. Ma perché, sebbene fu con molta diligenza finito da Sebastiano, che vi fece un Paese tenebroso molto lodato, l'invenzione però ed il cartone fu di Michelangelo, fu quell'opera tenuta da chiunque la vide veramente bellissima, onde acquistò Sebastiano grandissimo credito." Con queste parole Giorgio Vasari descrive nelle sue Vite il capolavoro di Viterbo, conservato presso il Museo civico. Sebbene tali dichiarazioni possano apparire a una prima lettura chiare ed esaustive, il dipinto ha richiesto negli ultimi decenni diversi studi critici e l'ausilio di complesse indagini diagnostiche, finalizzate a definire il contributo di Michelangelo a un'opera tradizionalmente riferita al veneto Sebastiano del Piombo trascurando alcuni aspetti considerati marginali dalla critica, anche a discapito di quanto invece suggerito dallo stesso Vasari. Si tratta del pezzo completamente autografo di Sebastiano, definito dal biografo fiorentino come "molto lodato", ovvero il paesaggio desertico e tenebroso dipinto nello sfondo. Dall'analisi di questo brano pittorico nasce questa indagine per svelare l'enigma che si cela in questo capolavoro.